sabato, marzo 10, 2007

Rimozione sicura

Potrebbe anche essere la notte giusta per arrendermi, almeno un poco.
Abbandonarmi nella fragilita', cedere alla debolezza, permettermi di non essere all'altezza, concedermi il lusso di una resa incondizionata.
Cio' che vorrei di piu' ora sarebbe qualcuno mi sussurrasse che tutto e' sotto controllo e gestito senza di me, che ogni pezzo si incastrera' con gli altri magicamente e senza alcuno sforzo.
Vorrei un lungo fiume e una barca su cui riposare mentre la corrente ed altrui braccia traghettano la stanchezza delle braccia, delle gambe, dei sensi, lontano da me.
Smettere di vedere il giorno con un grandangolo ed essere preso per mano, guidato con lenti movimenti e sicuro non preoccuparmi di ogni passo da compiere.
Eccomi quindi solo sul palco, tutte le luci puntate su me, dai riflettori odore acre di polvere bruciata e l'immensa sala innanzi allo sguardo.
Un bell'inchino alle sedie vuote, ai loggioni deserti, un umile passo indietro e ancora avanti per ringraziare nuovamente, si spengono le luci, lento scendo le scale del palco e senza esitazione mi incammino verso l'uscita.
Il palco e' vostro, senza rancore, almeno per oggi voglio fare lo spettatore lasciando i protagonismi a ieri e al domani.
Io che non ho trofei
dentro i miei musei
nei tornei che non ho vinto
certo o incerto se ogni dì è un addio
che ripeto tra un avvio e un rinvio
ho coperto il mio segreto
con un telo dentro un hangar
me ne andrò un mattino quieto
senza che nessuno pianga
il domani di ogni dì è un addio
che mi segno tra un avvio e un rinvio
mentre lucido il mio sogno
che mi spinge giù a valanga
dentro un ruvido bisogno
di lasciare un giorno questo hangar

venerdì, marzo 09, 2007

Finale

Cosa rimane del giorno quando il giorno non e' mai stato tuo? Come il charleston di Connie Kay, batte costante il senso di qualcosa che e' andato perduto, meglio sprecato, forse inutilizzato. Eppure intensa, eppure riposante, eppure vitale, eppure tranquilla, bianco e nero, ventaglio emozionale vissuto, quindi che chiedere di meglio? E' nel senso e controsenso a ben rifletterere e in essi scopro di non essere stato ringraziato abbastanza e di non averlo fatto a mia volta. Ingratitudine, a volte solo carenza d'educazione e ci si domanda se e' infantile bisogno di soddisfazione o meritato riconoscimento di valore umano e professionale. Ancora una volta lasciare correre in manifesta superiorita' o esigere inutile seppur giusto tributo, domanda a sua volta da scivolare tra le dita come fastidiosa polvere grigia e irritante. A mia volta in difetto invero di ingratitudine, di un solo grazie ma importante, il piu' importante perche' certe persone non sono carne, ma fondamenta su cui poggiare il giorno, le opere, tutti i grazie non ricevuti... Voi, voi che noi amiamo. Voi non ci vedete, non ci sentite. Ci credete molto lontani eppure siamo cosi' vicini. Siamo messaggeri che portano la vicinanza a chi e' lontano, siamo messaggeri che portano la luce a chi e' nell'oscurita', siamo messaggeri che portano la parola a coloro che chiedono. Non siamo luce, non siamo messaggio, siamo i messaggeri. Noi non siamo niente. Voi siete il nostro Tutto.

martedì, marzo 06, 2007

Prolungare

Cielo coperto e ampi sprazzi di blu, sole coperto ma luce a sufficienza.
Pomeriggio avanzato, forse ora di rientro dal lavoro, pedonali deserti, un bambino lontano in bicicletta e qualcuno avanti lui, forse la madre, una persona non ha fretta di uscire dal campo visivo, probabilmente non ha fretta affatto.
Prato in ricrescita, foglie minuscole su alberi ancori spogli; la primavera sta arrivando.
Architettura semplice, essenziale ma atipica, certo funzionale nell'esprimere estro non appariscente, elemento di disturbo al piatto territorio, in qualche modo fusione non integrata ma inventata per sobborghi che chiedono di muoversi lenti, a passo di uomo.
D'istinto penso a Bach e alla sua Sinfonia N.ro 3 ma e' manifesto di anima non fotografia, ripiego quindi su una fuga magari il Preludio e Fuga in re maggiore.
Ci siamo quasi ma troppa enfasi vira i colori su sfumature inopportune quindi perche' non la Fuga N.ro 8?
E' perfetto ora, troppo perfetto per riuscire a staccare gli occhi da quella singola immagine, fotogramma di un mondo impossibile, scrigno di tesori che non possiedero' mai.
Desiderio intenso, profondissimo, dolorosissimo ma non e' invenzione, non e' illusione e gia' aiuta a guardare un po' oltre, solo un poco, quel tanto che basta per una nuova alba, una nuova canzone, un nuovo sorriso.

lunedì, marzo 05, 2007

Nascondendo il respiro

Avrei bisogno di un po' d'inverno, almeno stanotte.
Sento la necessita' di provare freddo e di udire gelida aria sibilare tra le fessure, insinuarsi tra gli stipiti delle finestre, strisciare bassa sul pavimento e infine aggredirti tra un pensiero e l'altro.
Il gelo aiuta il silenzio a parlare, lo accompagna nel narrare storie spesso semplici ma importanti perche' e' nel vento ghiacciato che i racconti escono a danzare pattinando celeri nella stasi, senza paura, senza timore di essere scoperti perche' col freddo le anime si rannicchiano in cerca di caldo, protette dal proprio tepore, chiuse in se' stesse come gatti assopiti e sornioni, incuranti di quanto avviene, indifferenti a chi fugge, a chi volteggia, a chi semplicemente non teme di rivelarsi.
Ci vorrebbe gelo intenso e polvere sospesa nella luce dei lampioni, minuscola materia che non appartiene piu' a nessuno e per questo di tutti, forse inutile scarto o forse messaggera di quei racconti che si credono propri.
Chissa', magari neuroni di cosmica mente, energia visibile nell'aria immobile e noi illusi di individualita', inconsci ricettori di insieme universale, gia' chissa'...
Forse e' addentrarsi in sottorealta' schiacciate dalle logiche premesse del mondo, inutili cerchi tracciati in ancora piu' inutili slanci di indefinibile bisogno.
Ancora una volta non sara' chiaro il come ma il cosa e' lampante.
Il ghiaccio si confonde
con il cielo, con gli occhi
e quando il buio si avvicina
vorrei rapire il freddo
in un giorno di sole
che potrebbe tornare in un attimo solo.
Forse stanotte,
se avro' attraversato
la strada che non posso vedere
poi in un momento
copriro' le distanze
per raggiungere il fuoco
vivo sotto la neve.

Il lungo molo da percorrere

Il Ben Watt di "North Marine Drive" sembra ascoltato oggi per la prima volta e un po' mi fa riflettere.
Non so se sia positivo o meno; sono talmente tanti anni che mi accompagna e l'ho tenuto vicino a me, accanto a me, stretto a me in lunghi giorni e cosi' tante notti che pare qui da quando esisto.
No, non so se sia positivo tremare come una foglia sulle note di quel sax disperato e solo malgrado ne conosca le note meglio che la mia voce, non so se sia positivo far scendere un velo sulla stanza scarsamente illuminata e tuffarmi un tutte le ombre di ieri, di oggi, di sempre.
Se ripenso a cosa e' cambiato da allora, trovo solo la premonizione dei bisogni futuri di quel mare gelato del nord, icona estiva fuori tempo, pesanti abiti da indossare per viverlo, grigio come abito naturale relegando i colori sgargianti al tempo dei turisti e li' un arrivo, chissa'.
Un tempo vi trovavo solidarieta', complicita' disperata, un po' di comprensione.
Oggi e' piu' amico, racconto liberatorio, dialogo sussurrato, un po' di rassegnazione.
L'equazione torna, e' la vita che non lo fa, quasi mai...
Crippled anger from a crippled brain
Crippled footsteps through a crippled train
Bloody headwound leaves a bloody stain
On a raincoat smelling from the rain
It's the last train, it's the last train home
It's the last train, it's the last train home